All’interno della Risiera di San Sabba c’è un luogo in cui i visitatori si soffermano con particolare attenzione e con evidente commozione: si tratta della sala con le 17 celle di dimensioni molto ridotte. In effetti si tratta dell’unico ambiente che ha mantenuto la struttura e gli arredi e, in buona parte, anche l’intonaco originali, dopo la trasformazione monumentale attuata dall’architetto Romano Boico nel corso degli anni Settanta.
In quelle celle sono ancora oggi visibili i graffiti tracciati all’interno, sulle pareti, sul soffitto e sulle porte, da quanti in quel luogo sono stati rinchiusi per giorni o settimane. Nello spazio ristretto di quella prigione, nella poca luce disponibile, con l’ansia per il proprio destino e spesso con le sofferenze per le torture subite, vennero utilizzati chiodi, piccole matite, forcine per capelli e in qualche caso il fumo di candela per lasciare tracce di se stessi.
I messaggi sono estremamente brevi: le iniziali del nome o il nome intero, la località di residenza, la data di ingresso, qualche piccola frase o invocazione; molti sono i modi per segnare il tempo, con file di righe parallele incise nel legno, talvolta anche con i numeri dei giorni. Nessuno di questi calendari supera il mese, segno di permanenze non prolungate, anche una frase dice: “Qui sono rimasto 35 giorni”, forse tracciata da qualcuno che ha potuto ritornare in quel luogo dopo la guerra.
In effetti molti dei nomi ancora leggibili rimandano a persone che poi hanno potuto testimoniare la propria esperienza durante le indagini per il processo tenuto a Trieste nel 1976 contro i responsabili nazisti del lager della Risiera.
Quei nomi e i segni tracciati nel 1944-1945, furono in parte trascritti per la prima volta nel maggio del 1945, probabilmente da un partigiano jugoslavo in un foglio di quaderno conservato a Lubiana presso l’Inštitut za Novejšo Zgodovino, mentre un elenco molto dettagliato dei graffiti e delle scritte di ogni cella, risalente agli anni ’70, è conservato presso l’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia di Trieste. L’incuria e i circa 70 anni trascorsi, hanno cancellato o reso più difficile la lettura di quei messaggi preziosi. Nel corso dell’estate 2013 quei segnali, che ci arrivano direttamente da quanti lottarono contro nazisti e fascisti, sono stati fotografati e nello scorso dicembre tutto il complesso delle celle è stato sottoposto ad un restauro conservativo, grazie all’impegno dei Civici Musei del Comune di Trieste, che sulle testimonianze ha proposto una mostra documentaria visitabile fino ad agosto 2014.