Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - Comitato Provinciale di Trieste
Vsedržavno Združenje Partizanov Italije - Tržaški Pokrajinski Odbor
tessera

13° Congresso

Alessandro Pollio Salimbeni
Intervento Congresso Anpi Trieste

Riflessione aperta in una situazione di acuta difficoltà. C’è un mondo in movimento, qui, appena fuori da noi ma sempre più vicino. Il problema è che non abbiamo ancora una percezione piena delle dimensioni del problema: usiamo definizioni come immigrati, migranti, profughi ma queste parole dicono della nostra pietà e partecipazione umana ma nessuna di queste parole riesce a dare la misura e quindi anche il senso di ciò che sta succedendo. In primo luogo la fuga di popolazioni dalle guerre che dilaniano i loro Paesi ma se improvvisamente queste guerre finissero non cesserebbe la fuga da quei Paesi, per ragioni economiche ed ecologiche. Per questo nemmeno la richiesta di “pace” è sufficiente a prendere le misure di quanto accade.

Guardiamo nella nostra storia. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le cifre sono ballerine ma l’ordine di grandezza su cui gli storici concordano è che 20 milioni di europei hanno dovuto vagare da un confine (vecchio) all’altro (provvisorio, comunque nuovo) e poi ancora fino ala stabilizzazione finale. A ben vedere, in altra forma questo è successo negli ultimi 25 anni, questa volta sotto forma di creazione di nuovi Stati e la riesplosione di vecchi e nuovi contrasti, fino alle guerre civili (proprio qui, sulla soglia di casa). Nell’incrocio tra Europa, Asia e Africa che da sempre è il Mediterraneo questo sta succedendo in dimensioni mai pensate.

Per questo ci vogliono politiche e non buon cuore e ci vogliono soggetti capaci di tali politiche: qui sta il cuore della crisi dell’Europa, ed è il secondo punto. Non sono nemmeno sicuro che parlare di rinascita di forme fasciste sia adeguato a descrivere e comprendere il fenomeno, perché questa stessa cosa succede in Paesi di antica democrazia e sviluppo, come le socialdemocrazie del Nord Europa e in Paesi ex socialisti. Certo questo ci dice che disastro sia stato un “socialismo” incapace di sradicare in 40 anni (ma quasi 80 in Urss) la mala idea fascista ma se la stessa cosa succede ovunque, allora occorre pensare che la combinazione di crisi economica, impoverimento culturale e paura del futuro non spinge affatto in avanti bensì molto ma molto indietro, nel rifugio ritenuto sicuro da cui i “nemici” sono e restano esclusi.

Il terzo punto è l’Italia, che non riesce a riprendersi e in cui la politica è ogni giorno in affanno. Abbiamo reagito fino alla scelta del referendum dinanzi a scelte che cercano scorciatoie per uscire dalla crisi di rappresentanza che vediamo da troppo tempo e quindi faremo il nostro dovere per intero ma attenzione al fatto che anche con il referendum non si costruisce – a differenza che nel 2006 – uno schieramento anche politico, cioè in grado di governare o di fare da base a scelte di governo. Anche per questa ragione è necessario impegnarsi nel referendum ma mantenendo sempre il profilo che ci è proprio, di una autonomia che non è autosufficienza ma capacità di distinguere il piano della Costituzione dal piano del governo del Paese. Noi non siamo un partito politico, svogliamo invece rappresentare la continuità – nell’indispensabile rinnovamento – di valori fondamentali dello stare insieme in questo concreto Paese. Da lì in poi, dalla Costituzione in poi, si deve sviluppare la libera  e democratica dialettica politica, che non è pacificazione ma anche contrasto forte tra prospettive diverse. Ci sono posizioni che invece criticano scelte politiche bollandole di lesione della Costituzione: se cedessimo su questo punto, ciò comporterebbe che solo ciò che “piace a noi” è legittimo mentre tutto il resto sarebbe contro la Costituzione. Ritengo questa una deriva sbagliata e perfino pericolosa.

Dobbiamo essere consapevoli che dobbiamo ricostruire una base ideale e valoriale e in questo la Costituzione e ciò che la ha resa possibile – la Resistenza, la Liberazione, la Repubblica – sono il punto di partenza. Il ritorno di espressioni fasciste e naziste si spiega con l’indebolimento di questi che si possono definire i miti fondativi dell’Italia contemporanea e a me pare essere questo il problema essenziale. Nessun Paese, nessuna collettività può fare a meno di miti fondativi. Ma perché non sono pochi quelli che pensano di trovare quei miti nell’armamentario della destra peggiore? È una ricerca costante e mai terminata, è un campo di battaglia. Tutti noi pensiamo al 14 luglio della Francia e per anni abbiamo detto che avremmo voluto che il 25 Aprile diventasse una grande festa di popolo come in rancia il 14 luglio. Sapete dopo quanto tempo questo successe in Francia? Ci vollero oltre 90 anni, da quel 1789 e in mezzo ci furono il Terrore, Napoleone, almeno tre grandi guerre europee, tre colpi di Stato e due o tre diverse versioni di Repubblica e di Costituzione. Voglio dire che lungo è il cammino da fare. Ed è un cammino di verità, in cui non ci si adagia nelle posizioni più comode: non è credibile l’immagine di un  mondo di tuti buoni contro un mondo di tutti cattivi e se nella mia “parte” ci sono stati errori e tragedie, ebbene è mio dovere dirlo apertamente, se non voglio che producano danni ingenti nel futuro. La collaborazione tra Paesi, popoli, studiosi, serve a questo, non a rivelare verità formali ed ufficiali ma per condivider lo sforzo di ricostruire le cose per ciò che sono state e non per ciò che sembrerebbe essere conveniente.

Anche per questo abbiamo posto al centro del Congresso la necessità di realizzare uno Stato pienamente antifascista. Ci sono leggi contro il fascismo; le sentenze invece oscillano: certo è difficile tracciare la linea che separa la libertà di espressione dalla apologia ma certo i comportamenti concreti sono più facili da vedere e giudicare. Questo va chiesto, ogni volta che si annuncia o si svolge una manifestazione con teste rasate e saluti romani, va chiesto agli organi dello Stato, va chiesto ai poteri democratici e pubblici perché non abbiano timidezze e nemmeno opportunismi, per cui si danno premi e riconoscimenti “ecumenici”, cioè al fondo ambigui. Così come occorre guardare non alla sacralità della scienza storica che deve essere portata ovunque ma anche al fatto che se presto il mio lavoro di storico ad una manifestazione di Casa Pound non faccio affatto un servizio alla verità storica ma legittimo invece Casa Pound come interlocutore. Rigore nostro, rigore della politica, richiamo costante alla nettezza delle posizioni. E così si fa il contrasto alle manifestazioni fasciste. Mi colpisce sentire temi e frasi che ho già sentito negli anni 70, che riassumo nella espressione dell’antifascismo militante: non funziona e per di più si sa già come possa andare a finire, niente affatto bene. L’ultimo esempio è questo improvviso ricordo degli Arditi del Popolo, per dire che se si fosse fatto come loro, il fascismo in Italia non si sarebbe mai stabilizzato. Povertà storica ma – ed è ben più grave – suggerimento nemmeno troppo implicito a non ripetere l’errore di quasi cento anni fa: e allora? Si contrasta militarmente il neofascismo di oggi? Non credo serva continuare, mi pare chiara la catena di conseguenze che ne deriverebbero e tanto basti.

Proseguiamo nel nostro impegno, di ricerca storica, di convinta scelta di campo valoriale, di autonomia da differenti e talvolta contrapposte scelte di posizionamento politico. Siamo in campo per il referendum, siamo in  campo su tutti i temi della civile convivenza e dello sviluppo dei diritti essenziali, siamo in  campo per continuare a innovare e trasformare il nostro Paese e le sue Istituzioni, siamo in campo per sviluppare amicizia e cooperazione tra i popoli a partire da quelli più vicini a noi e con i quali abbiamo condiviso momenti anche drammatici e proprio da questa vicinanza abbiamo imparato che un altro punto di vista ci può aiutare, tutti, noi e loro, a  costruire insieme una strada di sicurezza e di civiltà.